La mafia ai tempi dei social



10/05/2023 |
La nuova narrazione delle mafie nasce sui social network. Tra auto di lusso, gioielli e spesso anche armi è su Facebook, Instagram e soprattutto TikTok che affiliati a cosche e clan stanno(ri)creando un nuovo network criminale.
Lo dicono i 20.000 commenti a video pubblicati su YouTube, gli 11.500 video postati su TikTok e i 2 milioni e mezzo di tweet analizzati dagli esperti, contenuti multimediali che seguono il flusso e le tendenze di influencer e personaggi pubblici, mascherandosi tra mode e lussi del momento.
Sono queste le caratteristiche principali emerse dal rapporto «Le mafie nell'era digitale», stilato dalla Fondazione Magna Grecia e presentato nella sala stampa della Camera dei Deputati. A curarlo Marcello Ravveduto, professore di Public and digital history alle università di Salerno e di Modena-Reggio Emilia.
Una mafia che si fa “brand”, sfruttando codici e sovra testi che sfuggono all’algoritmo perché il linguaggio che usano è, in fondo, uguale al nostro. Ma tutto è chiaro per chi conosce le chiavi di interpretazione. E il codice è fatto di emoji, di hashtag virali e di musica trap.
Le catene – si legge nel rapporto - rappresentano il carcere o il legame indissolubile tra il marito carcerato e la moglie, la goccia di sangue è il patto di fratellanza o uno spargimento di sangue, la fiamma è una minaccia, la clessidra è l’avvertimento. E poi il lucchetto rappresenta la promessa e il segreto da proteggere, il leone è il boss.
«Da sempre, per esistere, le mafie hanno bisogno di pubblicità», ha detto Nicola Gratteri procuratore di Catanzaro. «Mentre la politica discute sull’utilità delle intercettazioni, le mafie pagano gli hacker e costruiscono nuovi sistemi di comunicazione sopra le nostre teste».

Per saperne di più leggi il rapporto sul sito della Fondazione Magna Grecia A QUESTO LINK



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